Quando, come e perché Google cancella una notizia?

Nel maggio del 2014, a seguito del caso Google Spain contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González, la Corte UE ha obbligato il motore di ricerca Google a deindicizzare i link su richiesta dei cittadini europei interessati.

Nello specifico, la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea C-131/1 ha disposto che ogni singolo individuo possa chiedere ai motori di ricerca di rimuovere i risultati che appaiono effettuando una ricerca le cui keyword siano il proprio nome e cognome qualora i risultati siano obsoleti, dove per obsoleto si intende che la tutela dei dati personali prevale rispetto all’interesse pubblico di conoscenza della notizia.

Così facendo viene caricata su Google la responsabilità di valutare e bilanciare di caso in caso il diritto personale alla tutela della propria privacy e il diritto di rendere accessibili le informazioni di pubblico interesse.

Analizziamo ora la sentenza numero 23771 del 13/12/2015 del Tribunale di Roma per valutare l’applicazione della sentenza della Corte UE in Italia.

Il Ricorrente ( avvocato svizzero interessato alla deindicizzazione dei link ) chiama in giudizio il Resistente ( Google ) sul presupposto dell’esistenza di un diritto all’oblio per la deindicizzazione di 14 link e per il risarcimento per illegittimo trattamento dei propri dati personali, da quantificarsi nella misura non inferiore a 1.000,00€ per i link che emergono durante la ricerca usando come keyword il proprio nome e cognome. Il contenuto della ricerca in questione rimanda a una vicenda giudiziaria nella quale era stato coinvolto, senza che fosse mai pronunciata alcuna condanna, a fatti che risalivano al 2012/2013, fatti che lo vedevano implicato insieme ad altre personalità riconducibili al clero romano e alla c.d. “Banda della Magliana” in merito a presunte truffe.

Google si costituisce evidenziando che 4 dei 14 link non emergono con le keyword in questione e chiedendo il rigetto della domanda del richiedente anche sotto il profilo del danno.

Il Giudice respinge la richiesta di de-listing dei link ( solo dei 10 che effettivamente emergono a seguito della ricerca ) poiché rimandano a una vicenda giudiziaria del 2012/2013, ovvero ad avvenimenti recenti, clausola che va in contrasto con la prerogativa essenziale per richiedere l’eliminazione di un url.

Il diritto alla tutela della privacy dev’essere infatti bilanciato con il diritto di cronaca e con l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e, in questo caso, i dati personali dell’attore risultano trattati nel pieno rispetto del principio di essenzialità dell’informazione.

I dati personali trattati risultano essere pienamente legittimi, inoltre il giudice nella sentenza aggiunge che: anche nel caso di falsità d’informazioni contenute nelle pagine rimandate dai links, il ricorrente non può chiederne la rimozione a Google, visto che la funzione che egli svolge è quella di “caching provider”, ma dev’essere chiesta direttamente ai gestori dei siti.

Per questi motivi viene rigettata la richiesta da parte del ricorrente a cui viene chiesto di liquidare 4.000,00€ per le spese di lite.

Quello che emerge da questa sentenza è che il diritto alla tutela della privacy viene sempre bilanciato con il diritto alla cronaca ed il diritto a conoscere informazioni d’interesse pubblico.

La soluzione migliore in questa tipologia di casi sarebbe quella di investire in società che si occupano di web reputation e blackseo, cercando di affossare i link negativi con link realizzati ad-hoc con keyword identiche, riuscendo di fatto ad aggirare la dicitura “Alcuni risultati possono essere stati rimossi nell’ambito della normativa europea sulla protezione dei dati” che Google inserisce in calce alle ricerche per le keyword per le quali è stata effettuata una richiesta di deindicizzazione.

6 min

Data

6 gennaio 2016

Autore

omar

Sono Omar El Hamdani AKA Amro.
Lavoro: CEO presso Shielder e nella board di altre 2 aziende.
Passioni: sicurezza informatica, vino e Barbero.